Font: quale scegliere?

Proprio come ognuno di noi ha una diversa grafia, ogni scrittore ha il suo font preferito per scrivere la propria storia

Con la parola font ci si riferisce a un insieme di caratteri contraddistinti da uno stesso aspetto. Garamond, Calibri, Arial, ad esempio, sono font che si differenziano per forma e uso. Infatti per ogni contesto esistono dei font più adeguati al messaggio che si vuole dare. 

Il font

Il font è quindi un insieme di caratteri, ovvero un insieme di segni che comprende ovviamente le lettere dell’alfabeto, ma anche la punteggiatura e alcuni simboli. Si caratterizza per la sua forma specifica, proprio come i segni tracciati da mani diverse che scrivono.

Il concetto nasce con la stampa a caratteri mobili, quindi a metà del XV secolo, in Germania. Una volta passati da supporti analogici a supporti digitali, i caratteri disponibili gratuitamente o a pagamento si sono ispirati a quelli tipografici: così è stato per Garamond e Bodoni, ad esempio.

Con il tempo la varietà di questi font è aumentata in modo esponenziale, ed oggi la scelta è molto vasta. In generale, però, i font possono essere divisi in due macrogruppi:

  • serif: i caratteri con le grazie, ovvero quelle piccole appendici più o meno curve alla fine delle lettere; sono quelli più indicati da usare per testi lunghi, perché agevolano il passaggio fra una lettera e l’altra e fra una parola e l’altra. Un effetto simile lo hanno anche i font transizionali, ovvero quelli che al posto delle grazie presentano assottigliamenti e ispessimenti, che hanno un effetto analogo per l’occhio di chi legge
  • sans serif: i caratteri senza grazie, detti anche bastoni, che conoscono un grande successo nel Novecento, non tanto per i libri quanto per loghi e pubblicità; sono font di questo tipo ad esempio Helvetica, Arial o Verdana

Dal Cinquecento a oggi

Se, soprattutto da un punto di vista della grafica, i font hanno subito un’enorme evoluzione, in quanto ad aspetto e uso, per i libri non è andata esattamente così.

L’invenzione della stampa da parte di Johannes Gutenberg è stata sicuramente una rivoluzione che ha cambiato nel profondo lo stesso oggetto, il libro, e chi ne fruiva. Ma da quel momento non ci sono state grandi evoluzioni.

La stampa si è affinata nella tecnica e nella resa, da analogica è passata ad essere digitale, ma se apriamo un libro adesso, quello che vediamo non è troppo diverso da quello che avremmo visto cinquecento anni fa.

Ad oggi, la preferenza delle case editrici è di usare per il testo del libro un font serif; per la copertina invece, negli ultimi anni vengono preferiti font sans serif. Ed è questa una buona indicazione sia per chi vuole autopubblicarsi sia per tutti quelli che si apprestano a inviare il proprio manoscritto in valutazione alle case editrici.

Come dare un diverso peso alle parole

Scegliere un buon font non basta, però, per rendere il proprio testo accurato. Sceglierne due o più non solo non basta, ma crea confusione in chi legge. In uno stesso testo, infatti, sarebbe bene non mescolare troppi font, soprattutto di tipologie diverse. Se c’è la necessità di differenziare delle porzioni di testo, è preferibile usare:

  • il corsivo, inventato come abbiamo accennato dal tipografo e incisore Francesco Griffo; viene usato per i pensieri dei personaggi, i nomi di libri, riviste, opere d’arte, parole e frasi in una lingua straniera
  • il maiuscoletto: è una tipologia di font intermedia fra maiuscolo e minuscolo, in quanto le lettere hanno la forma delle maiuscole ma la dimensione delle minuscole. Serve per citare autori in bibliografia; a volte è usato anche in narrativa per indicare una parola maiuscola all’interno del testo; questo permetterebbe di non interrompere la lettura

Sono invece da evitare, almeno nella scrittura di un libro:

  • il grassetto: accettabile per i titoli, non dovrebbe essere usato per i romanzi; lo possiamo trovare però in alcuni libri di testo per le scuole e in opere come i vocabolari, perché cattura l’attenzione
  • il sottolineato: deve essere usato in un testo web per indicare un link, ma è assolutamente inelegante in un libro; sarà il lettore a scegliere se e cosa sottolineare

Quale font usare?

Ogni font ha una sua ragione d’esistere ed è azzeccato per un determinato contesto; la scelta del font contribuisce però anche a veicolare un messaggio, e, nel caso specifico di un libro, a renderlo confortevole, e quindi piacevole, alla lettura.

Va da sé che scegliere un font sbagliato per quel contesto e per quel messaggio può rivelarsi un ostacolo alla chiara leggibilità del dattiloscritto. Questo può costituire un problema per chi decide di autopubblicarsi, perché senza una casa editrice la scelta ricade sull’autore, che potrebbe commettere delle ingenuità.

Ma anche nel caso in cui il dattiloscritto debba essere inviato a una casa editrice, la scelta di un font sbagliato potrebbe far apparire il lavoro poco serio o curato.

Con quale font verrà stampato il libro è quindi un aspetto cruciale nella sua stessa scrittura. Ma come scegliere il più giusto? In inglese esistono due parametri per giudicare un font e sono applicabili a un testo lungo come un libro:

  • legibility: la capacità di distinguere le singole lettere
  • readability: la capacità della forma delle singole lettere di rendere la lettura scorrevole

Attenendosi alla distinzione precedente, di solito nei libri le case editrici usano:

  • caratteri serif per il testo
  • caratteri sans serif per la copertina e il titolo

Quale font scelgono le case editrici?

Ogni casa editrice utilizza un font o più font (ad esempio per collane diverse), che diventano un segno distintivo.

Ad oggi la combinazione più usata dalle case editrici italiane è Garamond per il testo e Helvetica per la copertina e il titolo; Helvetica non è però disponibile con il programma di videoscrittura di Microsoft, al quale ne fu negato l’acquisto e che risolse commissionando la creazione di un font simile, Arial.

Mondadori usa Palatino, Adelphi Baskerville, mentre Einaudi utilizza una particolare variante del Garamond, chiamata Einaudi Garamond. Fu Giulio Einaudi a commissionarlo al tipografo bolognese Simoncini (dal quale prende il nome il Garamond comunemente usato da altre case editrici).

Quale font scelgono gli autori?

A quanto pare il Garamond non è solo il font più usato dalle case editrici, ma anche il preferito degli scrittori italiani per la stesura dei loro libri. Forse perché influenzati dalla versione stampata delle loro opere, Alessandro Baricco, Antonella Lattanzi, Marco Missiroli lo usano anche nel “privato” del loro lavoro.

Veronica Raimo lo ha usato ma è poi approdata a Cambria, mentre Donatella di Pietrantonio usa Garamond dopo aver preferito a lungo Helvetica.

Il Times New Roman, apprezzato da alcuni, come Nicola Lagioia e Valeria Parrella, è giudicato freddo e severo da altri, come Giorgio Fontana.

C’è poi chi non dà alcun peso al font, come Teresa Ciabatti, ma nella maggior parte dei casi è visto come un elemento di qualche rilievo, una scelta quasi rituale.

Infine, a proposito di rituali, c’è anche chi ha l’abitudine di fare la prima stesura a mano, come Paolo Cognetti e Paolo Nori.

Esiste il font perfetto?

Come abbiamo visto, ogni font è perfetto in determinati contesti: si tratta di fare la scelta giusta in base anche al messaggio da veicolare. Se si parla di un libro, cioè un testo lungo, sarebbe meglio usare un font che sia facilmente leggibile. Fra quelli reperibili nei programmi di videoscrittura più usati, consigliamo:

  • Garamond
  • Palatino
  • Times New Roman
  • Cambria

Oltre alla scelta del font, anche quella della dimensione ha un’influenza sull’accuratezza di un manoscritto o di un libro. Sarebbe meglio restare fra 11 e 14 pt e, quando il testo deve essere inviato a una casa editrice, l’ideale sarebbe presentare il testo almeno giustificato.

Ovviamente la scelta del font è anche una questione di gusti e di abitudini: nella fase di scrittura l’autore potrà sbizzarrirsi con quello che lo aiuta meglio ad esprimersi, ma dovrebbe sempre avere la cura di sostituirlo con uno adatto prima di autopubblicarlo o di inviarlo a una casa editrice.

Sono quindi da evitare caratteri come l’Old English – sì, anche se il libro è un fantasy – il Comic Sans o il Papyrus.

Se i font consigliati e più usati dalle case editrici non soddisfano l’autore, potrà ispirarsi ai parametri che per Giambattista Bodoni (che ha dato il nome al famoso font) usa per descrivere quello migliore, che dovrà possedere:

  • regolarità
  • nitidezza
  • buon gusto
  • bellezza

FONTI

AccademiadellaCrusca
IlLibraio.it
IlPost

AA. VV., “A proposito di libri”, Cose spiegate bene, ll Post e Iperborea, 2021
J. Tschichold, La forma del libro, Ronzani, 2021

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