La punteggiatura

Oggi la punteggiatura è ritenuta uno strumento fondamentale per organizzare le frasi e i periodi e per riprodurre, nel testo scritto, l’andamento della lingua parlata. Ma non è sempre stato così

Se l’aspetto dei libri così come li conosciamo oggi  è rimasto più o meno stabile a partire dal Cinquecento, lo dobbiamo all’invenzione della stampa a caratteri mobili. Ma prima di questa vera e propria rivoluzione editoriale (e sociale), i libri apparivano molto diversi: per lungo tempo, le parole non erano separate fra loro da spazi o segni di interpunzione, ma si usava quella che è detta “scriptio continua”. Perché e da quando si usa la punteggiatura?

Il mondo antico

Nella Grecia classica la scrittura era continua, come lo sarà per molti secoli a venire. Con l’unica eccezione di alcuni reperti di scrittura micenea arcaica, anziché i segni di interpunzione venivano usati:

  • il metro in poesia
  • il ritmo in prosa

Una stesura del testo scritto e una sua fruizione completamente diverse quindi da quelle a cui siamo abituati oggi.

In epoca più tarda, troviamo (unica eccezione in un panorama di generale disinteresse per le questioni di punteggiatura) nel De Institutio Oratoria di Quintiliano (I secolo d.C.) un accenno all’uso dei segni di interpunzione. 

Nella sezione dedicata alla Pronuntiatio, l’oratore romano li definisce come uno strumento utile a sostenere o sospendere il discorso: un uso ancora collaterale rispetto alla scrittura e funzionale alla comunicazione orale più che scritta.

Il Medioevo

Nel Medioevo la scrittura rimane più o meno invariata, quindi continua, nonostante l’introduzione di alcune novità, come il carattere minuscolo e la virgola. Quest’ultima, però, non aveva l’aspetto che conosciamo oggi, ma era preceduta da un punto e posta all’apice: «.’».

È importante sottolineare come la funzione stessa dei testi fosse diversa, del tutto improntata e funzionale a una successiva comunicazione orale.

Per questo, almeno fino al XII-XIII secolo, il manoscritto, redatto con scriptio continua, era un testo neutro: il lettore stesso inseriva i segni di interpunzione. In funzione della resa orale, nel farlo seguiva tre principi:

  • vis pronuntiationis (declamazione)
  • expeditus (fluidità)
  • affectus (effetto emotivo)

Inserire autonomamente alcuni segni di interpunzione, così come l’uso di numerose abbreviazioni da sciogliere (a volte anche abbastanza criptiche) presupponeva una conoscenza pregressa della materia da parte del lettore.

A questa altezza cronologica, quindi, i manoscritti erano accessibili solo a poche persone colte, spesso personaggi facenti parte del mondo della chiesa o comunque di una classe sociale elevata. Ma le cose da lì a poco sarebbero cambiate.

Il Cinquecento e la rivoluzione della stampa

L’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Johannes Gutenberg alla metà del XV secolo rappresenta sotto tutti i punti di vista la nascita del settore stesso dell’editoria, e comporta un radicale cambiamento dell’oggetto libro, rendendolo del tutto simile a quelli che vediamo noi oggi.

Insieme alla rivoluzione dell’ortografia e della grafica occidentali, è però interessante rilevare una parallela rivoluzione sociale: si ampliano le classi medie e la possibilità di accedere al sapere. I libri adesso arrivano in mano anche di persone che non ne conoscono a priori il contenuto.

Un ruolo fondamentale in questa metamorfosi epocale lo hanno Aldo Manuzio, il primo editore moderno, e Pietro Bembo, che con lui collaborò a lungo e al quale affidò anche le sue opere per la pubblicazione. È proprio la prima edizione aldina del De Aetna di Bembo (1496) l’opera nella quale per la prima volta viene utilizzato un sistema di interpunzione considerato moderno.

Se da una parte viene meno l’autonomia del lettore nel discernere l’opera che si trova davanti, e viene invece acquisita autonomia comunicativa da parte del libro stesso, che doveva essere prima di tutto comprensibile, dall’altro lato manca ancora una regolamentazione condivisa e stabile.

Soprattutto nella nomenclatura dei segni di interpunzione si osservavano molte variazioni, alcune anche esilaranti, ad esempio:

  • fra i molti nomi per i due punti, uno era “geminopunto”
  • la virgola era detta spesso “piccola verga”
  • il punto esclamativo assumeva il nome della sua funzione nel discorso: “ammirativo”, “affettuoso”, “patetico”

Ma, soprattutto, la punteggiatura non ha più una funzione solo retorica: emerge anche il suo ruolo logico-sintattico, quindi di organizzazione della frase in ragione di una sua intelligibilità da parte del lettore.

Il Seicento e il Settecento

Nonostante un inizio di razionalizzazione dei segni di interpunzione, il Seicento, complice la corrente del Barocco, è ancora lontano da prescrizioni rigide e arbitrarie. 

La punteggiatura stenta a rientrare a pieno titolo fra gli argomenti di riflessione teorica (nei trattati di grammatica, ad esempio), e se ne predilige uno studio più empirico, basato quindi sull’uso.

Un’eccezione in questo senso la costituisce il Trattato dell’ortografia italiana di Daniello Bartoli (1670); in quest’opera ci si “rassegna” al fatto che la punteggiatura sfugga a dei principi normativi, e anzi, se ne afferma l’utilizzo anche secondo il “gusto personale”, ma emerge una prima dimensione testuale.

Nel secolo successivo quest’ultimo filone di riflessione finirà accantonato, per rivolgersi con ancora più consistenza agli usi pratici anziché teorici; nei trattati, però, le dissertazioni sull’uso della punteggiatura iniziano a guadagnare più spazio.

L'Ottocento

Nell’Ottocento si conferma la tendenza per cui lo studio dei modi d’uso della punteggiatura deriva direttamente dalla pratica.

Se da un lato il poeta Giacomo Leopardi si contrapponeva a un suo uso eccessivo, dall’altro proprio il lavoro sulla punteggiatura cambia l’aspetto dei Promessi sposi del romanziere Alessandro Manzoni: la seconda edizione (1840) appare quindi più chiara a livello di logica del testo e più scorrevole a livello di scansione ritmica.

Il Novecento

Il Novecento, secolo eclettico e multiforme, vede il contemperarsi di due tendenze opposte rispetto alla punteggiatura: da un lato un abuso, dall’altro la sua abolizione programmatica, come ad esempio prescriveva il Manifesto del Futurismo (1912) di Filippo Tommaso Marinetti.

Accanto a un grande sperimentalismo, soprattutto all’inizio del secolo, i segni di interpunzione guadagnano spazio in studi, saggi e manuali, che ne continuano a indagare l’uso pratico, ma si soffermano con più consistenza anche sulla loro funzione testuale e di strutturazione della frase e del periodo.

Oggi

Oggi si mantiene vivo l’interesse filologico e linguistico per la punteggiatura, con opere che non solo ne fissano l’uso contemporaneo, ma che ne vanno a ricostruire anche la genesi. È ormai superato un interesse puramente empirico, ma l’ambito didattico risulta ancora carente, a differenza di quello accademico.

Le principali criticità che sono state individuate sono:

  • attenzione alle sole funzioni superficiali della punteggiatura, e quindi al fatto che riprodurrebbe nella scrittura le pause della comunicazione orale
  • forzatura e arbitrarietà delle regole: non esistono ancora oggi regole stabili, ma a volte le indicazioni basilari vengono imposte come ferree, inducendo anche in errore

Una materia mutevole

La punteggiatura è l’unico modo che chi scrive ha per rendere un testo intellegibile e chiaro ai lettori; ciò significa che attraverso la punteggiatura è possibile colmare lo scarto fra lingua scritta e lingua orale.

Questo avviene per:

  • strutturare la frase da un punto di vista sintattico
  • far emergere il senso della frase
  • riprodurre le emozioni

Resta un dato di fatto, però, l’assenza di regole fisse, non solo all’interno della stessa lingua e fra case editrici diverse, ma anche fra una lingua e l’altra. 

FONTI

AccademiadellaCrusca
Treccani

M. Cammarata, Il correttore di bozze, Editrice Bibliografica, 1997
A. Cevolini, “Punteggiare la comunicazione e comunicare la punteggiatura”, La Bibliofilía, a. CXI, n. 3, 2009
B. Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Laterza, 2003
B. Mortara Garavelli (a cura di), Storia della punteggiatura in Europa, Laterza, 2008
J. Tschichold, La forma del libro, Ronzani, 2021

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